Nei primi decenni del 1900 arrivò in Piemonte la Filossera, un parassita che attaccava le radici delle viti, facendo morire le piante. In breve tempo l’epidemia distrusse gran parte dei vigneti – e la I Guerra Mondiale, togliendo le braccia che li coltivavano, fece il resto. Si capì presto che la vite americana resisteva al parassita e dunque si iniziò la pratica dell’innesto, mettendo insieme la varietà americana che andava piantata, e quella autoctona a cui spettava la produzione.
Il nonno Angelo, classe 1906, si ritrovò in quegli anni di gioventù ad affrontare questo nuovo lavoro e capì che poteva essere un’occasione di progresso. Iniziò a fare innesti su campo e coltivò un vivaio proprio per sperimentare gli innesti e vendere le barbatelle già innestate. Nel 1936 ebbe a disposizione un terreno magnifico, acquistato da un signore piccoletto di nome Mario (Majulin in piemontese) e decise di impiantare un nuovo vigneto di Dolcetto, sperimentando le combinazioni piede/clone di dolcetto che più gli sembravano giuste per il territorio.
Si piantò così il vigneto Maioli (Majoeu, in Piemontese) vigneto sperimentale per quegli anni, dove ogni cinque filari veniva cambiato il piede, con cloni diversi.